Introduzione
Un buon portafoglio d’investimento deve tenere conto dell’aspetto fiscale.[1] Due portafogli, infatti, possono generare lo stesso rendimento al lordo della tassazione su investimenti finanziari, ma un rendimento netto molto diverso se il mix di strumenti scelti è più o meno fiscalmente calibrato ed efficiente.
Per capire questo concetto, è bene introdurre un paio di distinzioni fondamentali. Innanzitutto, le tasse sugli investimenti finanziari si applicano a due oggetti:
- Il patrimonio finanziario che si detiene;
- Il reddito generato dal patrimonio finanziario che si detiene.
Un esempio di imposta sul patrimonio finanziario è la così detta imposta di bollo applicata sia al conto corrente che al dossier titoli.
Ogni investimento finanziario, poi, può generare un reddito a cui si applica un’imposta e questo reddito può essere di due tipi:
- Reddito di capitale,
- Reddito diverso.
[1] Ci occuperemo qui della fiscalità che riguarda chi ha la residenza fiscale in Italia ossia chi, secondo la definizione del Tuir(Testo unico delle imposte sui redditi),vive almeno 6 mesi e 1 giorno all’interno del territorio dello stato italiano.
Redditi di capitale e redditi diversi
Si chiamano “redditi di capitale” quei redditi che sono certi nella realizzazione, anche se non nella quantità. Si chiamano invece “redditi diversi” quei redditi che sono incerti sia nella quantità che nella realizzazione.
Per esemplificare la distinzione, rientrano nella famiglia dei redditi di capitale i seguenti tipi di reddito finanziario:
- Cedole distribuite da obbligazioni, fondi o ETF,
- Dividendi pagati da azioni, fondi o ETF,
- Interessi attivi sul conto corrente.
Rientrano nella categoria dei redditi diversi i seguenti redditi:
- La differenza, positiva o negativa, che deriva dalla vendita di un’azione, obbligazione, ETC, certificato, opzione,
- La differenza, se negativa, generata dalla vendita di fondi/sicav ed ETF che costituisce una minusvalenza.
Conoscere la differenza tra redditi di capitale e redditi diversi è di fondamentale importanza perché i redditi diversi sono compensabili con le minusvalenze pregresse, mentre i redditi di capitale non lo sono.[2]
[2] Il testo di riferimento è il D. Lgs 461/967.
Minusvalenze e compensazione
Una minusvalenza viene generata nel momento in cui si vende uno strumento finanziario in perdita. Quasi tutti gli investimenti finanziari che vengono venduti in perdita generano una minusvalenza, che è per definizione un reddito diverso, quindi un credito fiscale compensabile con altri redditi diversi. L’unica eccezione, cioè l’unico investimento finanziario che chiuso in perdita non genera una minusvalenza è la polizza vita, di cui parleremo più avanti.
Le minusvalenze sono registrate nel così detto “zainetto fiscale” fornito dal proprio intermediario. Il meccanismo di compensazione è molto semplice: se si realizza una plusvalenza di €10 e si ha nel proprio zainetto fiscale una minusvalenza di €6, l’aliquota verrà applicata sulla differenza tra le due (10 – 6 = 4) invece che su 10.
Ci sono alcuni punti da tenere bene a mente:
- Le minusvalenze scadono alla fine del quarto anno successivo all’anno di realizzazione. Per esempio, una minusvalenza generata nel 2020 può essere compensata nel 2020 e nei quattro anni successivi (’21-’22-’23-’24)
- Non si possono compensare minusvalenze tra due intermediari differenti. L’unico modo per farlo è chiudere uno dei due dossier titoli e ottenere la certificazione delle minusvalenze da far caricare poi sul dossier detenuto presso l’altro intermediario. Un’alternativa parziale, che in alcuni casi può essere utile, è quella di trasferire un titolo da un dossier all’altro al fine di realizzare una plus o minus da utilizzare a fine compensativi in quel dossier. Investitori con patrimoni elevati che vogliano compensare tra intermediari diversi potrebbero farlo con la creazione di una fiduciaria dove far confluire tutti i dossier titoli.
- La minusvalenza è associata a un codice fiscale, quindi plus e minus realizzate su dossier titoli diversi, ma nel contesto di uno stesso intermediario, possono essere compensate.
I Regimi Fiscali
Esistono tre regimi fiscali principali tra cui l’investitore può scegliere:
- il regime amministrato,
- il regime dichiarativo e
- il regime gestito
Conoscerne le differenze è molto importante nella gestione delle minusvalenze e, più in generale, ai fini di un’ottimizzazione fiscale del portafoglio.
Il regime amministrato è quello applicato di default dagli intermediari in Italia. In questo regime si demanda interamente all’intermediario il calcolo e l’applicazione delle imposte. L’intermediario, in altre parole, funge da sostituto d’imposta per il cliente, che riceverà i proventi netti e non avrà alcun altro onere finanziario da assolvere.
Il regime dichiarativo comporta una delega fiscale parziale all’intermediario. I redditi di capitale (esclusi gli strumenti non armonizzati, di cui parleremo dopo) sono infatti tassati alla fonte dall’intermediario, mentre i redditi diversi sono portati in dichiarazione dei redditi e le imposte che li riguardano vengono pagati entro il 30 Giugno dell’anno successivo.
Il regime dichiarativo è applicato se si apre un conto presso un broker estero, come Interactive Brokers, ma può essere anche scelto per ragioni fiscali dall’investitore che si serve di una banca, o comunque di un broker, italiano.
Per quale motivo, però, si dovrebbe preferire la complessità e i rischi di errore del regime dichiarativo alla semplicità di quello amministrato? Se il regime dichiarativo richiede un maggior lavoro e costo contabile, possiede però almeno due vantaggi rispetto all’amministrato:
- Nel regime amministrato posso compensare una plusvalenza solo con una minusvalenza realizzata a un tempo precedente[3]; il dichiarativo, comportando un’unica dichiarazione all’anno, permette di ovviare a questo limite.
- Un altro vantaggio del dichiarativo è il differimento dell’imposta. La tassazione dei redditi diversi realizzati nel 2023 è posticipata al 2024, al pari della tassazione dei redditi da lavoro.
Si noti che il regime dichiarativo non comporta che i redditi finanziari facciano cumulo con gli altri redditi da lavoro e siano o possano essere tassati con la marginale Irpef. Similmente, eventuali minusvalenze non andranno a sommarsi a crediti fiscali contenuti nel “cassetto fiscale”.
Un terzo regime fiscale è il regime gestito che riguarda le gestioni patrimoniali. Nel regime amministrato e dichiarativo, la fiscalità avviene per cassa: genero un reddito solo nel momento in cui ricevo un flusso di liquidità. Il regime gestito, invece, ha una fiscalità per competenza: indipendentemente dal fatto che abbia prelevato o meno parte delle somme, indipendentemente cioè dal fatto che abbia consolidato o meno dei guadagni/perdite, alla fine di ogni anno pagherò le imposte relative a quell’anno.
La fiscalità per competenza è evidentemente meno efficiente di quella per cassa dal punto di vista della capitalizzazione composta. Il pagamento dell’imposta indipendentemente dalla realizzazione dell’utile, non permette di far lavorare la capitalizzazione composta al lordo delle imposte.
Il regime gestito, d’altro canto, offre una possibilità preclusa agli altri due regimi, ossia quella di compensare redditi di capitale e redditi diversi.
Per completezza, va detto che il migliore dei mondi possibili, sul piano dell’efficienza fiscale, è costituito dalla modalità impositiva riservata alle polizze vita (come le index-linked) che, al pari di quanto avviene nel regime gestito, compensano al loro interno redditi diversi e redditi di capitale ma, diversamente dal regime gestito, non tassano per competenza ma per cassa.
Tuttavia, come abbiamo argomentato nel contributo “Passaggio generazionale in Italia: come pianificare la successione e ridurre l’imposta” non si tratta di un “free lunch”, perché il vantaggio fiscale delle polizze vita è più che annullato dall’altissimo livello di costi di questo prodotto.
[3] A meno che le due operazioni non siano fatte intraday nel qual caso i due valori si compensano anche se realizzati in ordine inverso (se, cioè, vendo prima lo strumento in guadagno e poi quello in perdita).
Le aliquote fiscali
Dopo aver analizzato il come e il quando delle imposte finanziarie, arriviamo al quanto.
Si ricorderà che esiste un’imposta che si paga semplicemente in virtù del fatto che si possiede un patrimonio finanziario. È l’imposta di bollo, a tutti gli effetti un’imposta patrimoniale, che si applica al conto corrente nella misura di €34,20 indipendentemente dalla cifra (se la giacenza media supera i 5k euro annuali) e al dossier titoli per un importo pari allo 0.20%.
Per quanto riguarda i redditi finanziari, l’aliquota ordinaria è del 26%. Quindi tutti i redditi, siano essi diversi o di capitale, generati da conti correnti (nella forma di interessi attivi), conti deposito e vincolati, azioni, obbligazioni societarie nonché fondi, ETF, ETC e certificati se contenenti o aventi come sottostanti tali strumenti, pagano l’imposta del 26%.
Esistono alcuni strumenti per i quali l’imponibile fiscale è pari al 48,07% del reddito generato. Questo fa sì che l’imposta applicata sia del 12.5% (pari al 26% di 48,07%). Rientrano in questa categoria i titoli governativi di paesi appartenenti alla white list e i titoli emessi da enti sovranazionali.
Esistono poi alcuni redditi finanziari che fanno cumulo con il proprio reddito personale e a cui, di conseguenza, si applica la marginale Irpef. Una categoria da menzionare è quella delle Sicav non armonizzate esterne allo spazio economico europeo (See). Per esempio, nel caso di una Sicav domiciliata in Svizzera o in Usa, la banca applicherà una ritenuta a titolo d’acconto del 26% a cui andrà aggiunta l’imposta da liquidare in sede di dichiarazione dei redditi.
In Italia, oltre alle imposte sul patrimonio finanziario e a quelle sul reddito finanziario, esiste anche un’imposta sulle transazioni finanziarie, la così detta Tobin Tax. Questa tassa, pari allo 0,2% sul valore della transazione, si applica sulle compravendite che hanno ad oggetto:
- Azioni emesse da società residenti in Italia e con capitalizzazione di mercato superiore ai 500 milioni
- Derivati aventi come sottostanti azioni con le medesime caratteristiche
Sebbene sia nata come tassa contro la speculazione finanziaria, la Tobin Tax si paga sul saldo netto delle operazioni fatte in giornata e quindi le operazioni intra-day di acquisto e vendita dello stesso quantitativo (= saldo netto pari a zero) riescono, ironicamente, a bypassarla.
Come migliorare l’efficienza fiscale del portafoglio
Ottimizzare la fiscalità del proprio portafoglio, così come efficientarlo a livello di costi, è un passaggio molto importante nella pianificazione e gestione finanziaria.
L’asset allocation dovrebbe tenere conto di quali strumenti sono fiscalmente efficienti, nonché dello zainetto fiscale del cliente.
Un portafoglio ben costruito non dovrebbe, per fare un esempio attuale, trovarsi a fine anno con delle minusvalenze in scadenza e senza una strategia per compensarle.
Il mercato dei certificati, tuttavia, viene incontro al cliente con i così detti certificati maxi cedola. Questi strumenti servono per posticipare di quattro anni le minusvalenze in scadenza. Dopo lo stacco della cedola, il certificato quota a un valore più basso corrispondente grossomodo al valore della cedola. Vendendolo si realizza così una nuova minusvalenza compensabile nei quattro anni successivi.
Nella costruzione di una strategia per compensare minusvalenze pregresse è importante conoscere bene gli strumenti che si intende usare. L’acquisto di obbligazioni governative zero-coupon, che quotino sotto la pari, è teoricamente una tecnica meno rischiosa rispetto all’utilizzo di azioni o di altri strumenti. Tuttavia, è bene essere consapevoli di due aspetti:
- L’imponibile fiscale di un’obbligazione governativa è del 48,08%. Ciò significa che la parte di reddito diverso utilizzabile a fine compensativi è circa la metà di quanto ottenuto.
- Quando acquisto un’obbligazione sotto la pari nella forma di uno zero-coupon devo capire se il prezzo sotto 100 incorpora uno scarto di emissione (l’obbligazione è stata emessa a 98 e rimborsa a 100) oppure un calo effettivo della quotazione rispetto al prezzo di emissione (l’obbligazione è stata emessa a 100 ma quota sotto 100 per effetto dei tassi di mercato). Solo nel secondo caso, infatti, produrrò un reddito diverso utilizzabile a fini compensativi.
Esistono altre strategie di ottimizzazione fiscale. Una delle più note si chiama “wash sale” (letteralmente, una “vendita di lavaggio”). In sostanza, si vende uno strumento in perdita per generare minusvalenze compensabili, salvo poi ricomprarlo o ricomprarne uno simile. Questa operazione ha molte restrizioni negli USA, ma è ancora legale in Italia.
Un altro campo in cui è bene essere informati prima di agire è quello degli strumenti che distribuiscono dividendi, come azioni o ETF.
Se la società è domiciliata in un paese diverso dall’Italia, il dividendo sarà tassato due volte, prima alla fonte e poi in Italia. Per esempio, un dividendo staccato da Stellantis che ha sede in Olanda, sarà tassato prima al 15% (aliquota olandese) e poi al 26% (aliquota italiana). Per un dividendo lordo di €100, il cliente italiano riceverà €62,9, (il 26% del 15% di 100) ossia pagherà in totale il 37,1% di tassazione.
Si tratta del problema della “doppia tassazione” che, per quanto più volte attenzionato dalla giurisprudenza di riferimento, non ha ancora trovato una soluzione snella e veloce. Esiste una procedura per chiedere il rimborso ma, come spesso accade in Italia, l’iter burocratico che la accompagna la rende una pratica poco seguita.
Un discorso a sé meritano poi gli ETF a distribuzione con domiciliazione estera, solitamente in Lussemburgo o Irlanda. In questi casi, bisogna prestare attenzione a due aspetti:
- Se ho un ETF a replica fisica, ossia un ETF che replica l’indice di riferimento acquistandone i titoli che lo compongono, pagherò una ritenuta applicata dal paese in cui l’ETF ha il proprio domicilio e su questo importo pagherò poi l’imposta del 26% in Italia.
- Se ho un ETF a replica sintetica, ossa un ETF che replica l’indice di riferimento con l’utilizzo di contratti derivati e senza acquistare le attività sottostanti, in qualsiasi luogo sia domiciliato l’ETF la ritenuta alla fonte sarà pari allo 0% e pagherò esclusivamente il 26%.
Conclusione
Un portafoglio non ottimizzato dal punto di vista fiscale e che non segua delle strategie personalizzate per il cliente, può generare un rendimento netto molto minore nel tempo rispetto a un portafoglio fiscalmente efficiente. Come abbiamo visto, esistono molte tecnicalità e sottigliezze che solo un gestore professionista può padroneggiare e indicare al cliente. Non esitare a contattarci se hai delle minusvalenze in scadenza e hai bisogno di aiuto.