La finanza comportamentale studia gli aspetti non razionali e più emotivi che influenzano le decisioni degli investitori.
Per molto tempo si è pensato, o assunto, che quando si parla di investimenti gli individui siano esseri perfettamente razionali che prendono decisioni in modo oggettivo sulla base di tutte le informazioni rilevanti e disponibili in un certo momento. È la famosa teoria economica di Modigliani – Miller, valsa agli autori un premio Nobel. Purtroppo, non è così. In situazioni di incertezza e complessità, gli individui si comportano spesso in modo non razionale e decidono sulla base di regole pratiche, denominate “euristiche”: delle scorciatoie mentali che offrono soluzioni rapide in alternativa all’affidarsi esclusivamente ai principi della ragione. Questa caratteristica ancestrale del nostro cervello, ossia cercare soluzioni immediate del tipo “fight or flight” (combatti o fuggi) in situazioni di stress, si è sviluppata nei millenni addietro e risale a quando l’essere umano doveva lottare ogni giorno per la sopravvivenza in un mondo ostile ed era necessario prendere decisioni in tempi rapidi perché magari minacciato da un predatore. Questa stessa caratteristica del nostro cervello però ci è di grande svantaggio quando si tratta di investimenti.
Le euristiche possono farci commettere degli errori e questi errori sistematici, frutto di un ragionamento scorretto, sono chiamati bias cognitivi. Esistono poi i bias emotivi che non sono prodotti da scorciatoie cognitive (euristiche) ma derivano da decisioni prese in modo impulsivo o istintivo, sulla base cioè di paure, desideri e altri fattori attinenti alla sfera emotiva.
Qui ci occuperemo dei bias cognitivi, in un secondo articolo analizzeremo i bias emotivi.
Esistono centinaia di bias cognitivi, ma alcuni sono particolarmente rilevanti in ambito finanziario. Conoscerli, riconoscerli e imparare a evitarli è di fondamentale importanza per investire con successo.
Il bias della rappresentatività
Il bias della rappresentatività ci fa giudicare un evento in base ad uno stereotipo o ad un modello mentale che abbiamo già in mente. In altre parole, si tratta di una scorciatoia mentale per farci associare qualcosa di conosciuto a qualcosa di sconosciuto, per facilitarci.
Un esempio potrebbe essere quello dell’investitore che investe in start-up tecnologiche senza capire bene quello che fanno ma associando nella propria mente le start-up di quel settore alle Apple o Google degli inizi.
Gli investitori, nell’analizzare scenari complessi e incerti, si affidano spesso all’euristica (scorciatoia) della rappresentatività. Quando lo fanno, però, rischiano di commettere errori perché il fatto che qualcosa sia rappresentativo non lo rende più probabile. Ecco altri esempi della rappresentatività:
- La tendenza a pensare che il passato si ripeta e che l’asset “di moda” del momento continui a performare meglio degli altri.
- La tendenza a pensare che una buona azienda, ossia un’azienda che fa bene nel proprio business, faccia anche buoni investimenti e quindi possa essere un buon titolo in cui investire.
Il bias della conferma
Il bias della conferma ci fa cercare conferme e opinioni favorevoli alle nostre tesi di investimento quando invece dovremmo cercarne i punti deboli.
Il bias della conferma è un altro bias cognitivo che è particolarmente interessante nel contesto finanziario. Karl Popper, importante filosofo della scienza del Novecento, sostenne che una teoria può essere considerata scientifica se è potenzialmente falsificabile, se possiamo cioè indicare dei fatti o delle osservazioni che la renderebbero falsa.
Nelle nostre decisioni di investimento tendiamo spesso a essere non-scientifici, prediligendo e cercando elementi che confermino piuttosto che smentire le nostre tesi e convinzioni. Molte bolle speculative sono sostenute da bias di questo tipo. Nel pieno dell’euforia, gli investitori tendono a cercare solo l’informazione che supporta le proprie teorie, ignorando o mettendo in discussione tutto ciò che potrebbe smentirle.
La contabilità mentale
Un altro bias cognitivo che può portare a distorsioni nelle nostre decisioni di investimento è quello della contabilità mentale (“mental accounting”). La nostra mente tende a considerare in modo diverso il denaro a seconda della provenienza e/o dello scopo a cui è destinato. Una cifra ereditata o guadagnata con un’operazione di trading viene collocata in un contenitore mentale diverso rispetto a una cifra guadagnata con il proprio lavoro. Ci sembra che con la prima possiamo rischiare di più, è come se ci fosse stata regalata. Ma questa concezione contraddice uno dei tratti distintivi del denaro: la sua fungibilità, il fatto cioè che tutti gli euro (o tutti i dollari) valgono uguale. Perché dovremmo stare attenti a questa organizzazione mentale del denaro? Perché spesso, sulla base di questa, investiamo anche in modo diverso il denaro in base all’origine e/o allo scopo. Questa stratificazione ci porta a ignorare correlazioni e decorrelazioni tra gli asset, generando di conseguenza portafogli meno efficienti. Ci porta inoltre, e questo è il fatto più grave, a non considerare il patrimonio nella sua interezza, come un unicum. Il bias della contabilità mentale, inoltre, spiega il fascino esercitato da cedole e dividendi che nella nostra mente sono in qualche modo guadagni diversi rispetto a quelli ottenuti da quelli in conto capitale.
L’effetto gregge
L’effetto gregge (“herding behavior”) è un altro bias cognitivo importantissimo nel mondo degli investimenti.
Dalla notte dei tempi l’essere umano ha bisogno di sentirsi accettato e parte di una comunità per sopravvivere e prosperare. Il nostro cervello “rettile” (la parte ancestrale) ci fa interpretare l’isolamento dagli altri come un rischio potenzialmente mortale, ne va della nostra sopravvivenza.
Se vediamo due ristoranti, uno molto affollato e l’altro quasi vuoto, tendiamo a scegliere il primo perché pensiamo che la maggioranza delle persone non possa sbagliare così; inoltre, se ci sbagliassimo saremmo in buona compagnia e non saremmo stati gli unici a mangiare nel posto peggiore. Tendiamo a fare lo stesso nelle nostre scelte di investimento dove, nei casi più estremi, agiamo in preda alla paura di restare fuori da un affare a cui gli altri stanno partecipando. È la così detta FOMO, fear of missing out, la paura di restare fuori. Ne abbiamo avuti degli esempi anche recentemente con il caso del titolo Gamestop o con i Non Fungible Token (NFT) del mondo cripto di cui abbiamo parlato in questo articolo.
L’effetto gregge nella mia esperienza di gestore professionale di fondi di investimento è forse quello più difficile da combattere.
Immaginiamo di sedere ad un comitato investimenti con il CEO della banca che ci spiega come “il mercato” stia andando in una determinata direzione e immaginiamo che tutti i nostri colleghi gli diano ragione e siano posizionati di conseguenza. Il fatto che persone importanti o molti colleghi la pensino in un determinato modo non aumenta la probabilità di successo di un investimento ma aumenta drasticamente il rischio percepito nel caso in cui fossimo proprio noi a sbagliarci: saremmo stati gli unici. Dopotutto fallire in compagnia è meno doloroso che avere successo da soli e con l’opinione di tutti “contro”.
L’effetto gregge è insidioso e complesso da valutare anche per un altro motivo: perché la maggior parte delle volte la maggioranza delle persone ha veramente ragione! Specie quando vi è diversità di opinione. Ne ho parlato a lungo in questo articolo dal titolo il mercato ha sempre ragione, l’articolo più importante tra tutti quelli che ho scritto.
Conclusione
Esistono molti importanti bias emotivi di cui parleremo nella prossima puntata dedicata alla finanza comportamentale: l’overconfidence, l’’avversione alle perdite, lo status quo, ecc.. In tutti questi casi, una conoscenza e consapevolezza di come certi aspetti non razionali possano pregiudicare le nostre scelte di investimento è indispensabile per avere successo nei mercati finanziari. Il modo migliore per gestire i limiti della razionalità, una volta che ne si è consapevoli, è quello di essere razionali nel decidere di delegare la gestione del proprio patrimonio a un esperto che conosca ed abbia esperienza sia della finanza che della psicologia che la sostiene.