Con la fine dell’epoca dei tassi d’interesse a zero, quando non negativi, la ricerca dell’obbligazione con il rendimento migliore è diventata all’ordine del giorno.
Quando si acquista un’obbligazione, ci si espone, tra gli altri, al rischio che l’emittente non sia in grado di rimborsare il capitale e/o pagare gli interessi nei termini e nei tempi previsti. Questo rischio viene denominato “rischio di credito”.
Il rischio di credito è talvolta associato al fallimento (default) dell’emittente e alla perdita totale del capitale, ma questo è il caso più estremo. Più spesso può succedere che l’emittente:
- Non paghi una o più cedole;
- Rimborsi il capitale a scadenza ma per un importo minore, o entro un periodo più lungo, di quanto inizialmente promesso (default parziale).
Un esempio del primo caso è quello del colosso immobiliare cinese Evergrande che, tra settembre e ottobre del 2021, saltò il pagamento di 3 cedole consecutive, ma il mese successivo riuscì ad evitare il default pagando le cedole arretrate entro i trenta giorni di tolleranza.
Come esempio del secondo caso, si pensi invece alla Grecia che nel 2012, con la più grande ristrutturazione del debito sovrano della storia, tagliò il 53,5% del valore nominale (capitale dovuto a scadenza) dei titoli in circolazione. Questo è un esempio di default parziale.
L’analisi del concetto di rischio di credito si sviluppa a partire da due domande:
- che probabilità c’è che una certa obbligazione fallisca e,
- qual è la perdita che posso aspettarmi in tal caso?
La perdita attesa dipende dalla probabilità dell’evento di default (default probability) e dal tasso di recupero in caso di default (recovery rate). Si tratta di dati, misurazioni e stime che devono tradursi in un giudizio sulla bontà o meno di un’emissione obbligazionaria e, successivamente, in una decisione di investimento.
Il rating di un obbligazione
Questo giudizio può essere trovato affidandosi ai rating delle agenzie di credito che forniscono delle vere e proprie pagelle per le principali emissioni in circolazione. Una macro-classificazione ricavata da questi rating è quella, ben nota, tra obbligazioni investment grade e obbligazioni speculative grade. Abbiamo parlato anche di un altra distinzione, quella tra obbligazioni senior e subordinate in questo articolo. Distinzioni più granulari sono marcate dall’uso di lettere e segni aritmetici con convenzioni non sempre omogenee tra le varie agenzie.
Nel tempo, si sono sollevate diverse obiezioni ai rating delle agenzie. Innanzitutto, si tratta di un mercato che è controllato, per circa il 95%, da tre agenzie: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings. Agenzie minori, come DBRS, Morningstar e Scope Ratings hanno ancora quote di mercato irrilevanti. Questo crea alcuni dubbi sull’affidabilità del rating proposto, un po’ come avverrebbe se l’analisi di tutto il mercato azionario fosse affidata interamente a tre banche d’investimento.
Inoltre, il rating è spesso commissionato da chi emette il debito, creando evidenti problemi di conflitto d’interesse che hanno raggiunto il loro apice nel caso di Lehman Brothers che, un giorno prima del fallimento, possedeva il rating più alto in assoluto.
Infine, si tratta di una misura statica che viene aggiornata mediamente ogni sei mesi, spesso troppo tardi rispetto alla velocità di altre informazioni che il mercato è in grado di incorporare e prezzare più rapidamente.
Come valutare dunque con maggiore tempismo il rischio di credito di un’obbligazione?
Esistono almeno altre due informazioni rilevanti che possiamo considerare nell’analisi del rischio di credito di un titolo obbligazionario: lo spread e il credit default swaps.
Gli Spread e i Credit Default Swaps
Un’informazione importante per valutare il rischio di credito è lo spread. Per “spread”, nel contesto obbligazionario e creditizio, si intende la differenza tra lo yield to maturity dell’obbligazione (ossia il rendimento a scadenza, ne parliamo nel dettaglio in questo video) che si sta analizzando e uno yield (rendimento) di riferimento detto benchmark yield. Maggiori sono questi spread, maggiore è la differenza tra rendimento senza rischio e con rischio, maggiore è il rischio di fallimento dell’emittente (che viene giustamente remunerato con un rendimento più alto).
Nella prassi operativa del mondo obbligazionario, il rendimento di riferimento o benchmark yield è solitamente quello dei titoli governativi del paese considerato a minor rischio nell’area valutaria. Quindi, ad esempio, per le obbligazioni in dollari il riferimento è il rendimento dei Treasury.
Nel grafico qui sotto troviamo una rappresentazione dello spread tra l’indice delle obbligazioni corporate high-yield denominate in dollari e il Treasury americano. Quando la differenza di rendimento tra l’high yield e il governativo è superiore al 7% ci si trova di solito in un contesto di elevato rischio / stress creditizio. Si noti come in concomitanza con le principali crisi lo spread sia aumentato ad indicare un aumento del rischio e quindi un aumento del rendimento nei titoli high yield che gli investitori chiedevano per compensare tali rischi. Cliccare sull’immagine del grafico per ingrandirla.
Un’altra indicazione molto utile è data dal prezzo dei credit default swaps (CDS) sull’obbligazione. I credit default swap sono dei contratti derivati simil-assicurativi che forniscono a chi li compra protezione da un “evento di credito” di qualche tipo (fallimento, mancato pagamento, ristrutturazione, ecc.). Chi compra un CDS si impegna a pagare un premio periodico alla controparte ottenendo in cambio protezione nel caso in cui si verifichi uno degli eventi indicati. Più alto è il costo di questa protezione, più alto è il rischio di credito che il mercato percepisce per un certo emittente. Un esempio abbastanza recente di una repentina ascesa del prezzo dei CDS c’è stato nel 2022 quando l’escalation del conflitto russo-ucraino ha portato in pochi giorni alle stelle il costo della protezione dal default della Russia.
Conclusioni
Gli errori più ingenui degli investitori fai-da-te nel mercato obbligazionario sono, probabilmente, quello di trascurare il rischio tasso, ovvero il rischio che il prezzo delle obbligazioni scenda a seguito di un aumento dei tassi d’interesse(il 2022 è stato d’insegnamento) e il rischio valutario (si pensi al fascino esercitato dalle obbligazioni BEI in valute esotiche che spesso si svalutano più del rendimento promesso).
Il rischio di credito, che è forse il primo rischio intuitivamente associato a un’obbligazione, non può però esaurirsi nei rating forniti dalle agenzie. Comprare o vendere un’obbligazione sulla base dei rating sarebbe simile a comprare o vendere azioni facendo una media dei prezzi obiettivo (“price-target”) degli analisti delle principali banche d’investimento. C’è bisogno, insieme ai rating, di strumenti più sofisticati, dinamici e liberi da conflitti d’interesse.
Nel mondo delle banche, le obbligazioni sono spesso presenti, oltre che nei comuni fondi obbligazionari, nei fondi a scadenza che distribuiscono cedole. Si tratta di fondi con costi di gestione molto alti e dove è difficile sapere se le cedole provengano da flussi incassati o da rimborsi parziali delle quote. Molto spesso questi fondi vengono commercializzati minimizzando il rischio di default delle obbligazioni in essi contenute. Tuttavia, se si ricorre a questo tipo di strumenti bisogna fare attenzione perché spesso i default parziali vengono mascherati spostando la scadenza del fondo e cercando di far passare la cosa inosservata.
In sintesi, come per i singoli titoli azionari, anche quando si comprano delle obbligazioni direttamente bisogna rispettare i requisiti minimi di diversificazione del portafoglio e sapere esattamente che genere di rischio si sta cercando di remunerare con la costruzione del portafoglio.
Gestire e monitorare un portafoglio obbligazionario è uno degli esercizi più complessi nel mondo degli investimenti ed è bene farlo affidandosi ad un consulente esperto e libero da conflitti di interessi in grado di consigliarci e indicarci gli strumenti più efficienti per i nostri scopi.
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