Comprendere l’andamento del mercato non è semplice: uno stesso investimento (oppure l’impiego di uno strumento finanziario) può risultare profittevole o disastroso, spesso a seconda del timing con cui si fa una certa operazione o in base al contesto generale del proprio portafoglio. Nella stragrande maggioranza dei casi quindi non si parla di investimenti buoni o cattivi in senso assoluto: ma ci sono anche delle eccezioni alla regola.
Oggi parliamo dei titoli non quotati e mettiamo in evidenza come risulti un modo davvero poco opportuno di investire.
Conoscere i rischi di un investimento è una parte fondamentale di ogni operazione: quando non si è certi di una operazione può essere fondamentale chiedere una consulenza finanziaria professionale ed indipendente.
Che differenza c’è tra titoli non quotati e quotati?
Quando si parla di azioni non quotate ci si riferisce a partecipazioni illiquide emesse da banche su mercati non regolamentati (ovvero mercati in cui la contrattazione non avviene in modo istantaneo). Il punto principale da ricordare a proposito dei titoli non quotati è che il loro valore è calcolato dalla banca che li emette, a sua discrezione.
Inoltre, i titoli, normalmente dopo la vendita all’asta agli investitori (il cosiddetto mercato primario) vengono inseriti nei listini di borsa dove la compravendita avviene in maniera organizzata nel caso dei mercati regolamentati. Per comprendere bene cosa accade è utile chiarire le differenze tra mercati regolamentati e non regolamentati.
- Titoli sui mercati regolamentati – La compravendita di azioni o obbligazioni avviene in modo istantaneo. Gli investimenti possono essere liquidati in ogni momento per raccogliere i profitti o limitare le perdite e riappropriarsi del proprio denaro, frutto del disinvestimento.
- Titoli sui mercati non regolamentati – gli istituti di credito hanno il ruolo di market maker ed emettono titoli che non sono scambiati ad un valore di mercato (come avviene in borsa) ma ricevono un valore arbitrario definito dall’emittente. Questo aspetto pone diversi problemi. In particolare, è possibile che al momento della vendita l’azione non venga riacquistata al valore nominale, risultando in una perdita oppure che non sia proprio possibile disfarsene.
Un esempio concreto: Alcuni anni fa Banca Popolare di Vicenza ha venduto le proprie azioni (non quotate) a circa € 60 ciascuna. Questo prezzo è stato stabilito dall’emittente (ovvero la banca stessa). I clienti dell’istituto di credito hanno acquistato, fidandosi dei consigli degli impiegati allo sportello, certamente incentivati alla vendita delle azioni. A seguito del default della banca, Il governo ha creato il fondo Atlante che ha stimato il valore reale delle azioni a € 0,10 ciascuna. Inutile dire che la perdita di chi ha investito in queste azioni non quotate è stata ingentissima. Di seguito un link che riepiloga la vicenda.
I titoli finanziari non quotati possono essere emessi in due modi:
- Azioni: per rendere il cliente socio della banca nella misura dell’acquisto;
- Obbligazioni: In questo caso il cliente presta denaro alla banca in cambio di interessi periodici fino al termine del contratto.
La domanda che a questo punto sorge spontanea è la seguente: come uscire da un acquisto del genere?
Esistono tre modi:
- La banca ricompra il titolo,
- Il cliente richiede un’uscita anticipata (ma a quale prezzo?),
- La banca trova altri clienti interessati all’acquisto del titolo.
È utile comunque comprendere che l’istituto di credito farà probabilmente resistenza poiché il denaro raccolto dalla vendita dei titoli non quotati presumibilmente verrà impiegato su altri investimenti ed attività. Una possibile soluzione da valutare per liberarsi di titoli non quotati può essere quella di rivolgersi all’arbitro per le controversie finanziarie che valuterà la sussistenza di poca chiarezza o di vizi di forma del contratto ed eventuali errori nell’interpretazione dello stesso.
È bene ricordarlo, la liquidità (differenza tra prezzi di acquisto e vendita contenuti) e la liquidabilità (possibilità di uscire dall’investimento senza penali) di uno strumento finanziario rappresentano una condizione sine qua non, indispensabile, all’investimento.
Perché alcune banche emettono questo tipo di titoli non quotati?
Posto che l’idea non è probabilmente quella di offrire un buon investimento ai clienti (ed ora abbiamo compreso perché) le banche ricorrono a questi strumenti allo scopo di fidelizzare il cliente. Il settore finanziario e bancario vede un elevato grado di concorrenza e di offerte in continua evoluzione.
Quando un cliente è insoddisfatto riceve offerte per altri prodotti finanziari: PAC, polizze o titoli non quotati; la banca fa questo al fine da prospettare investimenti a medio/lungo termine interessanti sulla carta e cercare di trattenerlo il più a lungo possibile.
I titoli non quotati spesso vengono offerti da banche regionali o provinciali in un contesto di concessione di fidi (le cosiddette “operazioni baciate”: la banca concede il fido richiesto se il cliente compra al contempo le azioni della banca). L’esperienza italiana recente (Veneto Banca, Popolare di Vicenza, Popolare di Bari, Banca delle Marche etc…) ha evidenziato come spesso gli istituti che propongono questi strumenti siano proprio quelli dalla solidità più dubbia e quindi con i rischi maggiori.
Ricapitolando, si tratta certamente di un cattivo investimento in senso assoluto. Anche in questo caso rivolgersi ad un consulente esperto può fare la differenza. La professionalità di un consulente finanziario indipendente permette di ricevere consigli finanziari senza situazioni di conflitto di interesse, come invece avviene con gli istituti di credito.
Se hai delle perdite rilevanti derivanti da operazioni in titoli non quotati o se sei tuttora in possesso dei titoli contattaci e troveremo la soluzione migliore per te, considerando anche eventuali plusvalenze da portare in compensazione, in totale assenza di conflitti di interesse in qualità di consulenti finanziari indipendenti.