“Il successo non è definitivo, il fallimento non è letale. È il coraggio di continuare che conta”
Winston Churchill
In questi giorni negli Stati Uniti, ma anche in molti alti posti del mondo, assistiamo a manifestazioni contro l’uccisione di George Floyd. Morto a Minneapolis il 25 maggio dopo essere stato trattenuto a terra con un ginocchio sul collo per nove interminabili minuti da un poliziotto. La brutalità della polizia americana nei confronti degli afroamericani non è una novità, ma è la prima volta che il dissenso si propaga in maniera così rapida e globale: è il risultato del gap sempre più ampio tra ricchi e poveri di cui abbiamo scritto in questo articolo.
È il manifestarsi dell’indignazione e dell’insoddisfazione delle classi medie e medio-basse che, magari, non ne capiscono molto di economia. ma che assistono al deteriorarsi della loro situazione familiare e lavorativa e nel frattempo vedono alla tivù o leggono nei giornali che i mercati continuano a festeggiare nuovi risultati positivi sulla scia degli interventi dei governi. E che interventi. La Fed ha aumentato di più il proprio bilancio negli ultimi tre mesi, del 70% a 7 Trilioni di Dollari, rispetto a quello che aveva fatto nei sei anni necessari ad uscire dalla Grande Crisi Finanziaria tra il dicembre 2007 e il dicembre 2013.
Aumentare il bilancio significa intervenire sul mercato finanziario comprando titoli. Le altre banche centrali non sono state da meno. E abbiamo visto che effettivamente il grado di intervento delle banche centrali nell’economia corrisponde al rialzo nel breve periodo degli asset rischiosi, in particolare l’indice S&P 500. Don’t fight the Fed quindi.
Un rally di tre mesi tuttavia non è significativo di un nuovo mercato rialzista di lungo periodo. Tra l’aprile del 1929 e il novembre 1930 c’è stato un bear market rally del 50% seguito da una discesa dell’80% terminata nel 1932. In questo contesto abbiamo preferito puntare, a livello di asset allocation, su metalli preziosi, valute forti e obbligazionario governativo; tutte scelte che al momento hanno ottenuto risultati migliori di azionario e obbligazionario High Yield nell’ultimo anno, ma con molto meno rischio. Si veda nel grafico qui sotto il confronto tra azionario globale (linea blu) e obbligazionario investment grade globale (linea arancio): stessa performance, ma livello di rischio molto differente.

L’oro in particolare dalla fine del 2018 ha avuto una perfomance superiore al 30%, la più alta delle asset class in questione.

Oggi percepisco molta FOMO. Fear of missing out. La paura di rimanere tagliati fuori. Alle cene con amici sento raccontare storie di trading su Hertz che ha da poco dichiarato la bancarotta. E che fa registrare performance del +50%, -50% al giorno dopo l’annuncio. Leggo articoli di giornale che raccontano dei cosiddetti pigiama traders, coloro che fanno trading dalla propria camera da letto in pigiama e pantofole, che speculano sui titoli delle compagnie aeree vendute da poco da Warren Buffett, il più grande investitore di sempre.
Tutto questo mi fa essere molto cauto, così come lo ero nell’estate del 2018 e alla fine del 2019. Cautela tuttavia non vuol dire assenza di posizioni, recentemente i nostri segnali quantitativi ci hanno fatto prendere posizione anche in settori specifici dell’azionario, quelli che beneficeranno nella transizione tra l’attuale fase deflattiva e la prossima. Quando i sistemi quantitativi, alla base dei nostri processi d’investimento, confermano il trend, non possiamo permetterci di esitare. Mai perdere di vista la palla durante il gioco. Ma la parola d’ordine resta risk management, gestione del rischio.
Investire è un esercizio probabilistico. Bisogna sovrappesare gli asset rischiosi (azioni e obbligazionario ciclico) quando le probabilità sono a nostro favore e sottopesarli quando le probabilità sono contrarie. Ciò significa non guadagnare sempre e comunque il massimo possibile su ogni orizzonte temporale, significa rischiare meno con il proprio patrimonio e farlo solo quando ha un senso farlo e il processo solido consente di tenere monitorati i rischi. I rendimenti devono sempre essere proporzionali al rischio. Se ci proponessero di vincere milioni di euro per fare un giro di roulette russa con una pistola in cui ci sono quattro proiettili su sei, non significa che se ci va bene e diventiamo milionari abbiamo fatto una scelta intelligente. Significa che abbiamo rischiato troppo. Ora, a meno che non abbiamo la fortuna di diventare milionari e ritirarci a vita privata, investire nei mercati significa continuare a gestire il rischio. Ogni giorno, è il nostro primo e unico lavoro. Tutto il resto viene dopo. Se perdiamo ad un giro di roulette non potremo partecipare al prossimo.

Guardo ai fondamentali, guardo ai prezzi attuali, guardo al livello di debito e allo stato dell’economia e l’unico argomento che vedo a sostegno di un continuo aumento degli asset rischiosi è l’intervento delle banche centrali. E questo mi preoccupa perché più i mercati diventano irrazionali e più sono pericolosi. Più ci allontaniamo da ciò che ha senso economicamente e più brutali saranno le correzioni al ribasso future. Guardo ai grandi del nostro tempo: Warren Buffet, Howard Marks, Stanley Druckenmiller e molti altri e vedo estrema cautela e molto scetticismo.
Partiamo dai fondamentali del mercato azionario. Il P/E (price earning) medio, prezzo corretto per gli utili, è a 24.6 la media degli ultimi 50 anni è di 17.3. Cosi come il prezzo corretto per gli utili anche il rapporto tra prezzo e vendite, prezzo su utili operativi e prezzo sul bilancio d’esercizio indicano che i fondamentali sono alti. Gli indicatori di valore fondamentale sono inutili per prevedere il prezzo nel breve periodo ma ci danno un buon parametro per capire cosa succederà nei prossimi 3, 5 e 10 anni. Nonostante l’euforia che percepiamo è tempo di essere cauti, quando i fondamentali sono così alti le probabilità di rendimento nel lungo periodo diminuiscono drasticamente. La maggior parte del pericolo si materializza nel corso delle recessioni economiche ed ora siamo in recessione.
Veniamo al mercato obbligazionario. Il presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, prevede un’ondata di fallimenti aziendali. Durante il picco della grande crisi finanziaria del 2008 il tasso globale di default dei titoli non-investment grade (High Yield) ha raggiunto il 10%. In quell’occasione il mercato High Yield ha subito un calo nei prezzi del 40%. Questo è avvenuto nella penultima recessione, quella precedente a quella in cui siamo ora. Secondo le stime attuali nel contesto odierno il tasso di default nel mercato High Yield potrebbe raggiungere il 20.8%. Un livello mai raggiunto prima. A tal proposito si veda questo articolo pubblicato dal giornale “The Economist” di cui riporto il grafico più interessante, il livello appunto sulle proiezioni dei default secondo Moody’s.
“Ma Renato, stai dimenticando che le banche centrali stanno intervenendo come mai prima d’ora.” Corretto. Nel breve periodo questo ha dato una spinta senza precedenti al sistema ma nel lungo periodo anche l’entità dell’intervento mi preoccupa. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.